venerdì 1 gennaio 2010

Rino Marino

Marino Rino è nato a Castelvetrano (1967). Laureato in Medicina e Chirurgia, presso l’Università degli Studi di Palermo e specializzato in Psichiatria. Ha frequentato diversi laboratori teatrali. Dirige la compagnia teatrale “Sukakaifa”, composta da pazienti con disagio psichico. Dal 2001 recita nelle compagnie di Paolo Graziosi e Carlo Cecchi.
Ha pubblicato: “Contravveleno, Teatro Siciliano” (Navarra Editore, Marsala, 2008). Ha scritto anche le seguenti opere teatrali: “Non fiori ma opere di bene”, “Lo zompo der grifone”, “E lucean le stelle”, “Il settimo giorno non riposò”, “Scabbia”, “La nave dei lunatici”, “Lunario”, “Il ciclo dell’atropo”, “La consegna”.
Ha pubblicato (poesia): “Silenzi d’arcano ” e “Onirica ” (Mazzotta, Castelvetrano, 1993); “Maceri assiomi ” (Thule, Palermo, 1998). Come autore sine nomine è presente in “Compagni di strada caminando ” (Edizioni Riccardi- Quarto – NA – , 2003).
E’ autore, sceneggiatore e regista di “Liturgia dei miserabili” (Cortometraggio, e già edito) e “Il viaggio di Malombra ” (Lungometraggio, e in corso di pubblicazione).



POESIE

(Da: Maceri assiomi”, 1998)

I
Comete esangui il nulla risucchia
nel vivo universo putrescente
un guazzo di china e tenebra
scava a picco sulla volta nuvolata
crateri liquefatti in concavo
la notte brulicante di palpiti
cancrene lunari brusio sub limine
sfiata l'iperbole incognita
dell'etereo canto inascoltato.


II


Mistero di corpi sgravitati
sotto croste di cielo foschie
paradiso d'angeli caduti
sagome vive levitanti fra atomi
galassie fermento d'argon
le figure sospese di Chagall
nell'azzurro spazio violato
da sonde sfalso d'orbitali
sbalzi barici fuliggine calore
d'anime a disgelare Marte.


III

La strada è magma semifuso
inafferrabile arrivo disincanto
di storie parallele punto morto
in fughe di grafite inchiostri
e scarabei su rotte divergenti
sfuma l'imponderabile sospeso
al lumeggiare dei miraggi
gli inganni della notte figurano
castelli e salici corolle d'ombra
muschiate fantasmi allegorie
d'inesplorati giorni senza tempo.


IV


Plaustro fluorescente fori di luce
sfalsano simmetrie sul pelago
stellato di relitti vermiglie
ruggini incrostate linfe a sbocchi
decompressi umori d'emisfero
grondano il tedio opaco dei fondali
traluce nera l'onda cristallina
reticolata di correnti e vene d'aria.


V


Serpeggiano accordi andini
umida calura di petrolio cola
in caldi liquori dalle tese bianche
al serico gualcire di foulards
fumi d'incenso e malva crome
in vertigine dal pentagramma.


VI


Sgorgano litanie da un ritmo
cadenzato frullio d'ali spiumate
rogo d'anime e streghe riverbera
al buio lagunare fiale luminose
occhi di gatto scheggiati d'anice
caligine intrecci di polvere di torbe
spiovute da lorde ciminiere
ossidi liquami nerofumo.

Liturgia dei miserabili (inedito)
Fluttua di neri paradisi
e voglie insanguinate
il demone che scalma alla rovina
gli amanti e gli assassini.
Il poeta dorme su un’elitra di mosca
in un polverio di stelle senza battesimo
ed ha lisciato i baffi per la festa
che non si nomina
e sa la pena del viandante
e il suo canto smozzicato.

Signore dei miracoli scordati,
proteggi il sonno al folle del borgo
che mangia cavallette e annusa
le sottane delle adultere.
Proteggi le mani scrostate ai tabernacoli
per ogni cero sottratto agli ex voto,
per ogni rintocco a morte inascoltato.

Scampati per grazia ricevuta
a un dispetto di mannaie,
sciamano pellegrini sulle orme dell’orante
all’ossario del santo indovino.
il poeta ha teso un’asola tra due latrati
per svernare nell’oppio del mattino,
computa il respiro in controluce
al suo amore di una notte,
scorre il suo profilo di carne in dormiveglia.
Signore degli immemori miracolati,
liberaci da questo lunario di giorni spuri
dalle cimici dalle mandragole
da questi giorni senza estuario.
Lascia che il poeta consumi in un giaciglio
d’insetti il suo silenzio morsicato,
Signore degli unguenti e delle piaghe
sanate a ortiche e carte moschicide.

1(inedito)


Scavi la luce a picco
e sei penombra, acerba
come il cuore della mandorla
recisa a gustare lo scontento,
l’innesto che ibrida il selvatico
in malie di sortilegio,
Il filo, il filo perso della lama,
la folgore mancata al novero stellare,
la cifra che non torna alla misura,
il laccio deteso che lancina l’ordito,
il granulo che inceppa lo scatto della troclea,
il punto, il punto fermo,
che mortifica il prosieguo.


2 (inedito)

E’ carne che cerca la tua
questo fuoco incorrotto
a fil di pelle
questo sentirsi addosso
intatti come lame
la maledizione dei proscritti
e il supplizio dei santi.
E’ carne questo ardore
di spume sulle labbra
questo sfuggire impietoso
per trovarsi
nella notte folle di rimandi
perché sia impura voglia
e vizio senza requie
il gorgo perverso degli addii.


3 (inedito)

Fu requie imposta, inverosimile,
presagio d’un corpo assente,
derivò in un sonno di cunicoli
l’intento, in un segreto d’abbaini
sprangati al provvisorio.
Cercali nelle piaghe del contendere
il cenno impercettibile, la smorfia
che dirime lo straniamento
dal colpire a morte.



4 (inedito)

Scende a sera
col tedio delle nenie nei cortili
il dubbio s’inerpica ai cancelli
come l’asparago o il filo spinato
che valica la piaga del ciliegio
e gioca a sfarsi in polline e pulviscolo
nell’ora straniata dall’assenza
e tu non sai di che albe
s’agghindi e di che fiori
la fallacia del giorno che s’attarda
pèso di rimasugli e disincanti.
Tu non sai l’ora insipida l’attesa
che logora e consunse
altre ore altre ossa
e spense braci e stremò uccelli di passo
scalmati al delirio della foce.



5 (inedito)

Giova sapere quale taglio
abbia schiuso il guscio virulento
e reso l’equinozio al diseguale,
ora che senza sbocchi il sangue geme,
cerca varco nei pori, si rapprende.
Elude nell’impervio
questa agonia ad oltranza,
grava un silenzio urente
una parola monca d’accattone.



6 (inedito)

In bilico tra il non dire e l’urgenza
dell’affronto, sospesi ad elemosine
negate, cediamo a un’esca di lame
che segni la spaccatura e fissi
oltre il cantabile l’amaro di un dissenso,
ché il tempo non si saldi
alla ventura col refe della strega
con aghi arrugginiti
e il cuore non si spenga in una stretta
allo strappo del sudario.



7 (inedito)

Cucito a pelle con aghi di frodo
sprofonda nelle fibre
il brivido del dissapore
traccia il verso alla fistola
scolla a vivo il torpore dei contatti.
Perde sostanza sfigura nell’informe
l’essenza del proposito
scaduto a sconcerto e sacrificio
col lucido scandaglio del vissuto
ora che il vivere ristagna
non trapassa
ci sfiora lieve indifferente
come il morire delle farfalle.

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