venerdì 1 gennaio 2010

Stefano Vilardo


Stefano Vilardo (Delia, Caltanissetta 1922) ha pubblicato, di poesia, nelle edizioni Sciascia: “I primi fuochi”(Caltanissetta-Roma 1954); poi, nei ‘Quaderni di Galleria’, curati da Leonardo Sciascia, “Il frutto più vero” (ivi, 1960) e “Gli astratti furor”i (ivi, 1988). Nel 1977, per le edizioni “Il Vespro” (Palermo), appare lo studio etnologico “Il paese del giudizio”. Per Garzanti (Milano), nel 1975, “Tutti dicono Germania Germania” riedito, nel 2007, da Sellerio, con la prefazione garzantiana di Leonardo Sciascia e una postfazione di Aldo Gerbino. Con Sellerio ha inoltre dato alle stampe i romanzi: “Una sorta di violenza” (Palermo, 1990) e Uno stupido scherzo (ivi, 1997). Fa parte del comitato scientifico dell’almanacco interculturale «Plumelia».





POESIE


Ma pure rimane


Ma pure rimane e austera,
intangibile, la tua alta pietà
di madre dolorosa
chiusa nella nicchia rustica
che si staglia nitida e serena
nel cielo corrusco,
in margine al paese che ha colore
di foglie consunte.

(da I primi fuochi, Sciascia, Caltanissetta-Roma 1954)


Primavera è ormai vicina


Sono immerse le strade in un velo
di pioggia, a notte scenderà il gelo
a ingemmare i fiori appena nati
e l’erba ancora fragile dei prati.

Primavera è ormai vicina!
Il freddo è meno denso, la mattina
mi svegliano gli uccelli, deliziosi
sulla veranda alta dove tu posi,
la sera, del pane sbriciolato.

(da Il frutto più vero, Sciascia, Caltanissetta-Roma 1960)



Con voce di memoria il sangue


Inutile gridare,
non sentono, non capiranno mai.
Esseri in preda alla narcosi
fornicano
si ingozzano
muoiono.
I cieli infetti
nera caligine di morte.

Luce di sole inutilmente ai giorni,
le città come immensi luna-park.

Urla con voce di memoria il sangue.
Spazza la terra sinistra paura,
con braccia gelide tenta la vita.

L'orrore
dirama
livide radici
nei cuori dissacrati.
Vietnam dicembre 1966


Alla maniera di Peter Weiss

Poteva avere tre o quattro anni
Il piccino era ferito
si teneva un braccino con la mano
in mezzo alla strada polverosa
Il sangue gli colava per terra
guardava in giro
gli occhi stravolti terrorizzati
come se non riuscisse a capire
Era lì solo
con i suoi grandi occhi sbarrati
Non piangeva neppure
Ad un tratto
il radio operatore del capitano
lo annientò
con una raffica di sedici proiettili
del suo fucile automatico M 16

(da Gli astratti furori, Sciascia, Caltanissetta-Roma 1988)


Nell’arco dei tuoi colli


Nell’arco dei tuoi colli
così avari di verde, i mandorli
schiudono insperate frescure
che la macchia densa degli ulivi
tende di panici silenzi
in questa grave estate che spaura.

Ho visto le cicale sbigottire
e greggi piegare al filo d’ombra
dei canneti corruschi.
Urlare le schiere dei corvi
nell’occhio orrido del sole.
All’orizzonte il cielo marcire.

(da “Gli astratti furori”, Sciascia, Caltanissetta-Roma 1988)



Improvviso il fulmine

È un meriggio d’agosto. Lontano
infuria il temporale. Mia madre
si affretta a ritirare,
prima che il lampo squarci
le nuvole, il rosso estratto
messo ad asciugare
nelle grandi tele e i fichi
e i materassi gialli e mi chiama.

La paura serpeggia per i campi.
I muli legati alla pastura
scalciano inquieti.
Una folata di passeri
impauriti si alza dalle stoppie
piomba sui mandorli immobili.

Improvviso il fulmine
accende un cielo livido d’angoscia.

(da “Gli astratti furori”, Sciascia, Caltanissetta-Roma 1988)




Ricordo

Fu di domenica all’alba.
Le campane avevano suonato mattutino.
Si aprivano le case, i muli
impazienti battevano il selciato.
Un giorno come un altro,
il mercato si riempiva di voci.

Ma si aprì la cateratta del dolore
in fuoco di ferita. Franò il giorno.
Violenta la morte
ruppe ogni suono, ogni voce.
Disseccò nere pupille.

Un nitrito
e il rombo del galoppo
sui ciottoli neri del sagrato.

(da “Gli astratti furori”, Sciascia, Caltanissetta-Roma 1988)




(da Tutti dicono Germania Germania, Garzanti, Milano 1975; Sellerio, Palermo 2007)


1

Sono partito per la Germania nel sessantuno
ché non avevo lavoro
Quando facevo una giornata
per due giorni poi restavo a spasso
Facevo il manovale
guadagnavo millecinquecento lire al giorno
in Germania invece
tre marchi tre marchi e mezzo l'ora
Siccome avevo contratto di lavoro
alla stazione trovai uno ad aspettarmi
che mi portò in baracca dai compagni
I primi giorni pensavo sempre alla famiglia
ma mi volli rassegnare
e quando accumulavo un po' di soldi
li mandavo a casa
Poi diventai aiutante carpentiere
e mi aumentarono la paga
Guadagnavo quattrocentocinquanta cinquecento lire l'ora
per dieci ore cinquemila lire
ma dovevo pagarci le tasse l'assicurazione la chiesa
Non mi sono adattato subito
ché non capivo la lingua
se il pulia mi mandava a prendere un attrezzo di lavoro
io dimenticavo la parola
e ritornavo indietro con la coda tra le gambe
come un cane bastonato
e così mi sfottevano tutti e mi rimproveravano
Magari adesso che mi trovo lì da quattro anni
qualche parola la mastico un poco
I tedeschi sono mischiati buoni e cattivi
ma quando una persona impara a parlare
e comincia a rispondere bene
allora si fa amare per quello che dice
A me mi volevano bene dove stavo
A volte qualche disgraziato ci insulta
sciais italien
perché non restate nelle vostre case
ebbene dobbiamo fare pazienza
che non c'è lavoro in Italia
dobbiamo ingoiare queste offese
Io avrei voluto rispondergli
però sempre straniero sono
e bisogna fare pazienza
sempre pazienza
che se ho torto o ragione ci perdo sempre io
Avrei avuto la capacità di rompergli la faccia
ma lasciavo perdere per non rovinarmi
Altri invece non ci pensano più di una volta
e arrivano al coltello


Su una foglia d’acacia


Una goccia d’acqua tremola
su una foglia d’acacia

Sbrilluccica, tentenna e poi s’ingorga
creando lontananti, in uno stagno,
evanescenti cerchi di memoria.

Così la mia vita (la tua forse)
pencola, vacilla e poi si scioglie
nel grande mare dei perché insoluti.

(Inedito)

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